11- La stanza...
...era morbida, bianca.
Silenziosa.
Il letto, troppo comodo, sembrava mi avesse catturata senza nessuna intenzione di lasciarmi andare. Mi serrava i polsi e le caviglie in una morsa infernale. Claudio era stato ritrovato. Era terrorizzato, infreddolito. Sconvolto. Gli occhi dei miei genitori mi scrutavano seri ed increduli, mentre i muri e il soffitto si sgretolavano facendo rimbalzare strane ombre da un angolo all'altro della casa. Di nuovo quella voce, quei sussurri maledetti che mi stavano portando lontano dai miei affetti, dalla mia casa.
Dalla mia vita.
"Ci prenderemo cura di te". Questa volta non era Paola, a dirlo, ma due uomini sconosciuti che mi parlavano da un'altra dimensione.
Vidi Tobia rantolare, sentii Paola confessare di avere riso mentre osservava la sua vecchia ed inutile vita scivolargli dagli occhi.
Vidi Claudio piangere e le mani nervose di Paola che lo picchiavano e lo legavano ad una trave della vecchia cascina dietro casa. La mia casa, così lontana da me.
Vidi la mamma piangere.
Sentii la mano di papà che mi accarezzava la guancia sinistra, ma tutto sembrava più debole e più lontano dei ricordi di un'altra persona "Papà ti vuole bene".
Paola gridava, cercava di scappare. Io la lasciavo fare, sperando di non vederla mai più.
La stanza era morbida, bianca.
Silenziosa.
Qualcuno entrò ed iniziò a parlarmi; mi fece delle domande.
Il corridoio lungo, illuminato da migliaia di luci colorate, i muri cercavano di fermare la mia corsa. Inciampai.
La voce di Paola mi graffiò i timpani. Paola. Lo sconosciuto in camice.
Lei. Lo sconosciuto.
Lei. Lui.
Lei.
Strisciai silenziosamente fuori dal letto, mi voltai e vidi Paola immobilizzata da cinghie di cuoio che rispondeva alle domande dell'uomo col camice bianco. Fredda, calma, spaventosa. Tornai a casa, giocai un po' con Tobia finché non mi chiamarono a cenare. Andai a dormire serena e sognai come è giusto che faccia una ragazzina della mia età.
La mattina arrivò come sempre, giocando a nascondino con le mie palpebre. Gliela diedi vinta, socchiudendo appena gli occhi. E vidi la stanza. Era morbida, bianca.
Silenziosa. Un sorriso mi deformò appena il viso e mi scaldò il cuore.
Paola non è cattiva, si prese cura di me.
Invecchiammo insieme, in una stanza morbida, bianca.
Silenziosa.
Silenziosa.
Il letto, troppo comodo, sembrava mi avesse catturata senza nessuna intenzione di lasciarmi andare. Mi serrava i polsi e le caviglie in una morsa infernale. Claudio era stato ritrovato. Era terrorizzato, infreddolito. Sconvolto. Gli occhi dei miei genitori mi scrutavano seri ed increduli, mentre i muri e il soffitto si sgretolavano facendo rimbalzare strane ombre da un angolo all'altro della casa. Di nuovo quella voce, quei sussurri maledetti che mi stavano portando lontano dai miei affetti, dalla mia casa.
Dalla mia vita.
"Ci prenderemo cura di te". Questa volta non era Paola, a dirlo, ma due uomini sconosciuti che mi parlavano da un'altra dimensione.
Vidi Tobia rantolare, sentii Paola confessare di avere riso mentre osservava la sua vecchia ed inutile vita scivolargli dagli occhi.
Vidi Claudio piangere e le mani nervose di Paola che lo picchiavano e lo legavano ad una trave della vecchia cascina dietro casa. La mia casa, così lontana da me.
Vidi la mamma piangere.
Sentii la mano di papà che mi accarezzava la guancia sinistra, ma tutto sembrava più debole e più lontano dei ricordi di un'altra persona "Papà ti vuole bene".
Paola gridava, cercava di scappare. Io la lasciavo fare, sperando di non vederla mai più.
La stanza era morbida, bianca.
Silenziosa.
Qualcuno entrò ed iniziò a parlarmi; mi fece delle domande.
Il corridoio lungo, illuminato da migliaia di luci colorate, i muri cercavano di fermare la mia corsa. Inciampai.
La voce di Paola mi graffiò i timpani. Paola. Lo sconosciuto in camice.
Lei. Lo sconosciuto.
Lei. Lui.
Lei.
Strisciai silenziosamente fuori dal letto, mi voltai e vidi Paola immobilizzata da cinghie di cuoio che rispondeva alle domande dell'uomo col camice bianco. Fredda, calma, spaventosa. Tornai a casa, giocai un po' con Tobia finché non mi chiamarono a cenare. Andai a dormire serena e sognai come è giusto che faccia una ragazzina della mia età.
La mattina arrivò come sempre, giocando a nascondino con le mie palpebre. Gliela diedi vinta, socchiudendo appena gli occhi. E vidi la stanza. Era morbida, bianca.
Silenziosa. Un sorriso mi deformò appena il viso e mi scaldò il cuore.
Paola non è cattiva, si prese cura di me.
Invecchiammo insieme, in una stanza morbida, bianca.
Silenziosa.
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FINE